Patto di stabilità, l’Ue trova l’accordo

Bruxelles, 10 Febbraio 2024 – C’è voluta una notte intensa e piena di lavoro ma alla fine, dopo 16 ore al tavolo delle trattative, il Consiglio europeo e il Parlamento hanno trovato l’accordo sul patto di stabilità (dovranno approvare formalmente il pacchetto normativo per la fine della legislatura). Entro il 2024 gli Stati membri dovranno presentare i piani nazionali comprensivi delle riforme di investimento (transizione climatica a digitale, sicurezza energetica in primis), le spese e l’inclusione di maggiori informazioni in merito agli investimenti pubblici, questione fortemente voluta dal Parlamento europeo che chiedeva maggiore spazio. Un passo avanti importante soprattutto dopo le posizioni raggiunte a dicembre dai 27 dell’Ue al Consiglio e all’Eurocamera rispetto alla proposta legislativa della Commissione europea dell’aprile scorso per rivedere dopo 25 anni le intese comuni sui conti pubblici europei.

 

Le regole

Le nuove regole entreranno in vigore subito. Gli Stati dovranno quindi presentare entro il 20 settembre di quest’anno i primi piani di spesa per un periodo di quattro anni, estendibili fino a sette. Esclusa dal conteggio complessivo della spesa pubblica, la spesa nazionale per il cofinanziamento dei progetti finanziati dall’Ue, che sarà considerata infatti una spesa dei Governi in modo tale da promuovere gli investimenti. La Commissione, parlando invece degli investimenti nelle aree prioritarie dell’Ue, li considererà deviazioni dai piani di spesa in modo tale da permettere ai Paesi membri di evitare la procedura di disavanzo eccessivo. Stesso discorso per quegli investimenti già in essere; gli Stati potranno presentare le argomentazioni. Previste, in casi particolari anche delle eccezioni temporanee che potranno estendersi fino al massimo di un anno.

Introdotte misure “salvaguardia”

Per poter garantire una riduzione del debito (0,5% o 1% annuo per chi supera rispettivamente il 60% e il 90% del rapporto debito/PIL) e del deficit pubblico (ridotto al 1,5% del PIL, rispetto al 3% fissato dai trattati) l’accordo introduce alcune misure salvaguardia” volute fortemente dai Paesi “frugali” in particolar modo dalla Germania.

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