Medio Oriente, Netanyahu: «Non entrare a Rafah è perdere la guerra»

Roma, 11 Febbraio 2024 – «Non entrare a Rafah vuol dire sostanzialmente perdere la guerra e lasciare Hamas al proprio posto» queste le parole riferite dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu intervistato dalla Abc. «Non ci fermeremo finché non avremo preso i restanti battaglioni di Hamas. Rafah è la chiave per permettere a Israele di vincere», spiega.

 

Un passaggio per i rifugiati

Parlando poi della complessa situazione in cui versa la popolazione civile, Netanyahu afferma che l’esercito israeliano sta lavorando alla creazione di un passaggio sicuro per permettere ai palestinesi di Rafah (circa 1,4 milioni di rifugiati) di evacuare in tutta sicurezza la Cittá. «Stiamo lavorando a un piano dettagliato». Affermazione che “sposa”, a suo dire, quanto sostenuto con forza dagli Usa che non sosterranno una operazione a Rafah se prima non si considera la sicurezza dei cittadini.

La comunità internazionale

Nonostante sembrerebbe essere prevista la fine delle operazioni sulla Città di Rafah entro il 10 di marzo, in concomitanza con l’inizio del Ramadan islamico, le dichiarazioni di Netanyahu hanno destato preoccupazioni in tutta la comunità internazionale che ha condannato con forza tali affermazioni. Dalla Germania ad esempio la ministra degli Esteri Annalena Baerbock ha dichiarato che l’operazione sarebbe «una catastrofe». L’Egitto invece avvisa che questa comprometterebbe gli accordi di pace del 1979. L’Arabia Saudita chiede una riunione urgente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Wafa: “25 morti a Rafah”

Intanto non cessano le ostilità. Questa mattina, come denunciato dall’agenzia palestinese Wafa, a seguito di alcuni raid su Rafah circa 25 persone hanno perso la vita. Colpito anche un rifugio nel sud della Città a sud di Gaza. Per Hamas 44 persone sono morte nella notte a seguito dei bombardamenti. L’esercito ha informato che un raid ha ucciso il capo dell’intelligence della polizia di Hamas, Ahmed al-Yaakobi, il suo vice Iman a-Rantisi e il loro delegato alla distribuzione degli aiuti, Ibrahim Shatat.

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