Corte di Giustizia Ue: l’Italia condannata per le norme sull’inquinamento atmosferico

Lussemburgo, 10 Novembre – «I valori limite applicabili alle concentrazioni di particelle PM10, sono stati superati in maniera sistematica e continuata tra il 2008 e il 2017». Questo si legge nella sentenza dell’istituzione giudiziaria europea che garantisce l’osservanza del diritto comunitario nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati fondativi dell’Unione. La Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) condanna l’Italia perché ha violato il diritto Ue sulla qualità dell’aria. Il Belpaese non ha prestato particolare attenzione alla protezione della salute umana, dell’ambiente e dell’economia dall’inquinamento atmosferico. Anzi, avrebbe procrastinato nell’attivare strategie per risolvere, o quantomeno arginare, il problema.

Procedimento partito dal 2014

Così si è chiuso il primo ciclo della procedura di infrazione iniziata dalla Commissione europea nel 2014. La quale aveva dato il via al processo per inadempimento verso l’Italia e nel 2018 aveva chiesto l’intervento della Corte. Perché l’Italia – che dal 2008 non si è impegnata ad adottare misure appropriate per garantire il rispetto dei valori limite, giornalieri e annuali, fissati per il particolato atmosferico – non ha fornito chiarimenti sufficienti nel corso della fase di precontenzioso del procedimento.

Il Belpaese aveva provato a dimostrare le difficoltà di gestione del problema. Facendo riferimento anche alle caratteristiche del territorio e alla sua estensione limitata delle aree di superamento dei limiti. Concentrate nella Pianura Padana, e non estese a tutto il territorio nazionale. Ragioni che, però, sono considerate insufficienti.

La sentenza della CGUE

«Il superamento dei valori limite fissati per le particelle PM10, anche nell’ambito di una sola zona, è di per sé sufficiente perché si possa dichiarare un inadempimento alle disposizioni della direttiva sulla qualità dell’aria». Sottolinea la sentenza della Corte.

«Mentre l’Italia riteneva indispensabile, segnatamente alla luce dei principi di proporzionalità, di sussidiarietà e di equilibrio tra gli interessi pubblici e gli interessi privati, disporre di termini lunghi affinché le misure previste nei diversi piani relativi alla qualità dell’aria potessero produrre i loro effetti, la Corte osserva, al contrario, che un siffatto approccio si pone in contrasto sia con i riferimenti temporali posti dalla direttiva “qualità dell’aria” per adempiere gli obblighi che essa prevede, sia con l’importanza degli obiettivi di protezione della salute umana e dell’ambiente, perseguiti dalla direttiva medesima».

La speranza

Per la presidente della commissione Ambiente della Camera Alessia Rotta questa condanna può rappresentare un’occasione per cambiare modello di sviluppo. «Per rendere davvero l’Italia la locomotiva della rivoluzione ecologica in tutta Europa. Dobbiamo essere assolutamente consapevoli che anche dalla crisi prodotta dalla pandemia, si potrà uscire solo attraverso una netta scelta green».

La Commissione europea aveva deferito l’Italia alla Corte il 16 maggio 2018. Lo stesso giorno aveva comunicato una decisione analoga a Ungheria e Romania. E portava davanti al tribunale Ue anche Francia, Germania e Regno Unito per il superamento dei limiti di biossido di azoto.

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