Mestre, 9 Gennaio 2021 – “Se fossero riconosciute alle attività economiche che sono state costrette a chiudere per decreto o per Dpcm sia le perdite di fatturato registrate l’anno scorso sia un contributo aggiuntivo del 26%, lo Stato dovrebbe conferire a questi imprenditori colpiti dal Covid poco più di 250 miliardi di euro. Un importo che sfiora la somma degli stanziamenti previsti dal Recovery plan e dalla legge di Bilancio per il 2021. Questa, la provocazione sollevata dall’Associazione artigiani e piccole imprese Mestre (Cgia) tra autonomi e lavoratori pubblici.
“Con la legge di Bilancio 2021 è salito a 3,8 miliardi l’importo a disposizione del fondo per il nuovo contratto per i lavoratori della Pubblica Amministrazione (PA). Considerando gli effetti che questa decisione avrà anche sulle amministrazioni periferiche, si raggiunge una disponibilità di spesa complessiva pari a 6,7 miliardi di euro. Quindi il 26% in più di quanto erogato a tutti i lavoratori del pubblico impiego nell’ultimo rinnovo firmato nel 2018“.
“Ricordiamo che, fino ad oggi, a causa della pandemia, tutte le attività economiche hanno ottenuto dall’esecutivo solo 29 miliardi di euro di aiuti diretti. Questo al netto delle agevolazioni in materia di credito e dell’effetto dello slittamento di alcune scadenze fiscali”.
“Con questa forzatura vogliamo mettere in luce come una parte importante dell’economia italiana abbia subito perdite consistenti a causa delle chiusure imposte per decreto dal Governo. E soprattutto non abbia beneficiato di indennizzi adeguati, sebbene da sempre non possono contare su alcun ammortizzatore sociale. Questa parte è costituita da almeno 5 milioni di artigiani, commercianti, esercenti, albergatori e lavoratori autonomi.
“Senza contare che tra i lavoratori della Pubblica Amministrazione è molto elevata la quota di coloro che in questi mesi di Covid ha sperimentato lo smart working. Riuscendo a conciliare meglio il lavoro con gli impegni familiari e il tempo libero, beneficiando anche dell’azzeramento dei costi di trasporto e di quelli legati alla pausa pranzo”.
Il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo afferma: «Le crisi economiche non sono mai democratiche. Anche questa volta, infatti, a pagare il conto più salato saranno le persone più fragili, come le donne e i giovani. E se questi ultimi sono anche titolari di una partita Iva, i disagi aumentano esponenzialmente. Per questo motivo è giunto il momento di creare una rete di protezione sociale finalmente universale che coinvolga tutti: lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti sia del pubblico che del privato».
«Sia chiaro» – continua Zabeo – «questa strada va perseguita senza togliere le garanzie già acquisite dai lavoratori subordinati. Ma allargando le tutele anche a coloro che ne sono attualmente sprovvisti, utilizzando, in prima battuta, le risorse che spenderemo per il cashback. Un provvedimento, questo, che assume sempre più i contorni di una vera iattura. Nei prossimi 2 anni, infatti, costerà alle casse dello Stato quasi 5 miliardi di euro che scandalosamente regaleremo alle persone più ricche. Risorse, invece, che sarebbero da utilizzare per sostenere le tante partite Iva che a causa del Covid e delle chiusure imposte per decreto rischiano di abbassare definitivamente la saracinesca».
“L’Ufficio studi della Cgia, infine, segnala che l’ultimo contratto siglato dai dipendenti pubblici, firmato nel 2018, interessò il triennio 2016-2018. L’accordo è arrivato dopo quasi un decennio di blocco degli stipendi imposto per legge.
Analizzando l’andamento della retribuzione lorda media nel pubblico impiego, si evince, che tra il 2010 e il 2019 l’incremento è stato del 4%. Nello stesso periodo, invece, l’inflazione è salita del 10,5%. Nel quindicennio precedente (1995-2009) l’innalzamento della spesa fu esponenziale. +72% contro una crescita media dell’inflazione del 40%. A seguito di questa impennata dei costi delle retribuzioni, il Governo Berlusconi IV e successivamente anche gli esecutivi Monti, Letta e Renzi decisero di sterilizzarne gli aumenti per quasi 10 anni. Con l’obiettivo, in parte raggiunto, di frenare la spesa pubblica di natura corrente”.
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