Roma, 28 Dicembre – Non solo Matteo Renzi e il suo nuovo ultimatum. Anche il Pd e Liberi e Uguali mettono sotto accusa il Recovery plan, incastrando il premier Giuseppe Conte in una sorta di strada senza uscita.
Il presidente del Consiglio punta ad incassare mercoledì il via libera definitivo del Senato dopo quello di oggi della Camera alla legge di bilancio per poi provare a sciogliere la grana che riguarda governance e contenuti dei 209 miliardi in arrivo da Bruxelles, ma strada è stretta. Le minacce di Italia Viva restano sul tavolo e gli alleati sono convinti che alla fine Conte dovrà mettere mano al piano e rettificare la rotta rispetto all’impianto “dirigistico” utilizzato nella prima versione.
Nei prossimi giorni saranno in realtà Roberto Gualtieri ed Enzo Amendola a prendere in mano la partita, incontrando le delegazioni dei partiti e prendendo in esame le loro proposte emendative. La mossa, decisa di comune accordo con Palazzo Chigi, potrebbe servire a far passare il messaggio che non esista alcuna volontà “accentratrice” da parte del premier. Anche se è a lui – concordano gli alleati – che spetta la responsabilità ultima delle scelte.
I Dem, che presenteranno le loro proposte al Mef domani, chiedono a Conte un piano in grado di “cambiare l’Italia“. Le osservazioni del Nazareno vengono consegnate a Palazzo Chigi in serata, dopo le ultime analisi da parte della segreteria. Riflettono molte delle proposte fatte arrivare al premier nell’incontro di qualche giorno fa: attenzione al green, alla transizione ecologica e all’innovazione. Ma con fondi dati anche a nuovi protagonisti, alle startup, e non solo a imprese già presenti. Non solo “vecchi progetti dei cassetti dei ministeri”, quindi, ma anche futuro. Poi parità di genere, istruzione, maggiori fondi per gli asili nido e le infrastrutture sociali, cultura e commercio.
Riflettori, poi, puntati su Mezzogiorno e sanità, con la richiesta di attivazione del Mes. Focus anche sulle riforme che riguardano il lavoro: «si rischia di arrivare al termine del blocco dei licenziamenti senza una riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive, che abbiamo posto più volte al tavolo di maggioranza sul programma di governo», è il ragionamento. Sulla cabina di regia, poi, la linea è chiara: la struttura dovrà essere «sussidiaria, quindi di supporto, alla Pubblica amministrazione e non sostitutiva e dovrà anche interagire e aiutare le amministrazioni periferiche che altrimenti potrebbero avere problemi nella gestione di questi progetti».
Anche il M5S sarà ricevuto domani da Gualtieri e Amendola. I pentastellati chiedono al Governo di centrare i propri interventi su giovani, digitalizzazione e green, e non intendono fare passi indietro sul Mes. Sui fondi destinati alla sanità, però, anche Leu è pronta a dare battaglia, bollando come «largamente insufficienti» i 9 miliardi previsti dalla prima bozza. Il partito di Roberto Speranza chiede poi di «abbandonare l’impostazione micro-progettuale per adottare una visione complessiva» e non risparmia critiche ai progetti originari. Le modifiche da fare, insomma, sono numerose e le richieste arrivano da tutti i partiti di maggioranza. Conte lo sa e cerca l’exit strategy, consapevole che questa volta anche la pazienza e la capacità di mediazione tipiche di un avvocato potrebbero non bastare.
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