Roma 9 novembre 2022 – Una vasta operazione della Direzione investigativa antimafia (Dia) ha condotto alla disposizione emessa dal G.i.p. del Tribunale di Roma su richiesta della Procura capitolina, di ventisei misure cautelari tra Roma, Agrigento e Cosenza, nei confronti di indiziati ritenuti appartenenti ad associazioni a delinquere di stampo mafioso (416bis C.p.).
L’indagine condotta dalla Dia (“Propagine”, ndr) che lo scorso maggio ha portato a 43 arresti tra Italia ed estero, ha svelato la presenza di numerose “locali” e un organo collegiale al vertice, chiamato “Provincia”, nonché la prima “locale” di ‘ndrangheta autorizzata a operare nella Capitale. Gli inquirenti hanno dichiarato che questa sia «radicata sul territorio della Capitale, finalizzata ad acquisire la gestione o il controllo di attività economiche nei più svariati settori come quello ittico, della panificazione, della pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti, facendo poi sistematicamente ricorso a intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività e di numerose ipotesi di attribuzione fittizia di valori». Oltre che “commettere delitti contro il patrimonio e l’incolumità individuale, affermando il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio” come si rende noto dal Centro operativo della Dia.
Secondo quanto emerso dalle operazioni, le ventisei persone disposte questa mattina a misure cautelari, (24 in carcere e due ai domiciliari), costituiscono una ‘ndrina romana estremamente radicata nel territorio laziale con l’intento di acquisire il controllo su numerose attività commerciali di varia natura. A Canicattì, in Sicilia, le indagini della Dia hanno condotto al fermo di un giovane di 22 anni, che però non risulta collegato con gli ambienti ‘ndranghetisti di Agrigento.
Coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò della direzione distrettuale Antimafia di Roma, la Dia ha sequestrato venticinque società, per un valore complessivo di circa 100 milioni di euro. A capo della “locale” Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi facenti parte di storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Cosoleto, centro in Provincia di Reggio Calabria.
La vasta operazione della Dia, le cui indagini sono ancora in corso, fa seguito a un’altra (“Aemilia”, ndr) messa in atto dalla Guardia di Finanza di Cremona coadiuvate dalle Fiamme Gialle di Roma, Crotone e Catanzaro, che han portato al sequestro di beni immobili e quote societarie per un totale di circa 4,5 milioni di euro. La vicenda che ha scoperchiato un “vaso di Pandora” dal quale sono venuti alla luce numerosi atti estorsivi ai danni di imprenditori dell’emiliano, ha inizio a seguito di ripetute estorsioni da parte di un usuraio piacentino ai danni di un imprenditore cremonese.
In merito alla vicenda la Guardia di Finanza ha dichiarato che «grazie all’utilizzo strumentale di società fasulle, costituite alla bisogna da professionisti conniventi, la ‘ndrangheta reinvestiva nel circuito legale le ingenti risorse frutto della sua azione delittuosa. I proventi dell’associazione criminale sono stati quindi riciclati attraverso molteplici investimenti: in complessi immobiliari, in strutture turistico-alberghiere, in società agricole, in società edili e immobiliari, in imprese di trasporti e logistica».
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