Vaccino anti-Covid, arriva il test che ti dice quando farlo

 

 

Roma, 24 Settembre 2022 – Il beneficio del vaccino anti-Covid non ha su tutti la stessa durata. In alcune persone la risposta immunitaria contro il virus è più forte e duratura che in altre.

Linfociti B e T

La reazione immunitaria specifica è composta da due tipi di cellule: i linfociti B e i linfociti T. I primi sono responsabili della produzione di anticorpi, i secondi della risposta cellulare contro il virus, ovvero del riconoscimento e dell’eliminazione delle cellule infettate.

Valutare e misurare la presenza di linfociti T reattivi è fondamentale per capire se una persona è ancora protetta dal contagio, anche se ci sono bassi livelli di anticorpi. Fino ad oggi quantificare la presenza di queste cellule era molto complesso e difficoltoso.

Un team di ricercatori italiani dell’IRCCS di Candiolo che, con l’Italian Institute for Genomic Medicine (IIGM), nel laboratorio Armenise-Harvard di Immunoregolazione, hanno messo a punto un semplice test del sangue in grado di superare i limiti degli attuali test sierologici, che non sono in grado di determinare il livello e la durata dell’immunità al virus. In pratica quantificando i linfociti T della memoria riesce a misurare e a verificare se il sistema immunitario è ancora in grado di difendersi dal virus o se ha bisogno di essere potenziato con una nuova dose di vaccino anti-Covid.

Lo studio ha permesso anche di rilevare che, in chi è stato precedentemente infettato da SARS-CoV-2, la vaccinazione con mRna promuove l’aumento dei livelli di anticorpi e il potenziamento di cellule T CD4+ e CM CD8+ specifiche contro il virus.

Un futuro più roseo

Lo studio ha importanti implicazioni sulla futura gestione della pandemia. Poter capire se si è in possesso di queste cellule sarà utile per stabilire il grado di protezione della popolazione generale, e in particolare dei soggetti più fragili e selezionare chi e quando necessita di un’ulteriore protezione con la vaccinazione. «Avere gli anticorpi non significa per forza essere protetti dall’infezione, perché nel tempo questi calano e non sono sufficienti a proteggere dal contagio, ragione per cui si è optato per la dose booster», spiega Luigia Pace, responsabile di questa ricerca presso l’Irccs di Candiolo Laboratorio d’Immunologia Oncologica e responsabile del Laboratorio d’Immunoregolazione presso l’IIGM, tra gli autori dello studio.

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