Roma, 27 aprile 2025 – Il sangue del cordone ombelicale del neonato può fornire indizi sulle sue predisposizioni a patologie a lungo termine tra cui diabete, ictus e malattie epatiche. Questi i risultati del “Newborn Epigenetics Study”. L’autrice, la dottoressa Ashley Jowell, della Duke University Health System, ha individuato questi indizi nelle alterazioni del Dna riscontrabili nel sangue cordonale e che consentirebbero interventi precoci e potenzialmente salvavita.
Il risultato dello studio “Identificazione delle regioni di controllo dell’impronta associate a disfunzioni metaboliche clinicamente significative nei bambini” verrà presentato a San Diego il 4 maggio durante la“Digestive Desease Week “, il più grande raduno internazionale di medici, ricercatori e accademici nei campi della gastroenterologia, epatologia, endoscopia e chirurgia gastrointestinale.
Risultati dello studio
Il team ha analizzato il sangue del cordone ombelicale di 38 bambini, ricercandovi cambiamenti nei tag chimici, chiamati gruppi metilici, presenti nel Dna dei neonati che attivano o disattivano i geni. Quando questi cambiamenti si verificano in parti critiche del Dna, denominate regioni di controllo dell’imprinting, i loro effetti possono persistere durante lo sviluppo fetale e nella vita adulta. Ha poi confrontato le alterazioni con i dati raccolti nei bambini tra i 7 e i 12 anni tra i quali l’indice di massa corporea, il grasso epatico, un indicatore di infiammazione o danno epatico (ALT), i livelli di trigliceridi, la pressione sanguigna e il rapporto vita-fianchi. Ha poi identificato diverse regioni di Dna alterato associate a disfunzioni metaboliche presentatesi durante la crescita.
La coautrice, Cynthia Moylan, professoressa associata nella divisione di gastroenterologia della Duke University, ha sottolineato come questi segnali epigenetici si stabiliscono durante lo sviluppo embrionale e sono potenzialmente influenzati da fattori ambientali come l’alimentazione o la salute materna durante la gravidanza. Ha aggiunto che se convalidati in studi ulteriori, consentirebbero nuovi strumenti di screening e possibili interventi precoci per bambini a rischio.
Intanto il National Health Institute ha finanziato uno studio di follow-up più ampio. Nascere con questi marcatori, non significa che la malattia sia inevitabile. Ma conoscere il rischio in età precoce aiuterebbe famiglie e medici ad adottare misure per tutelare la salute a lungo termine del bambino.