Roma, 21 Settembre 2024 – Ogni anno in questa data si celebra in tutto il Mondo la Giornata mondiale dell’Alzheimer, istituita nel 1994 dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’Alzheimer’s Disease International (Adi) per diffondere iniziative dedicate alla conoscenza e alla diffusione delle informazioni sulla malattia. Tra le tante iniziative organizzate per la giornata in Italia, i Palazzi istituzionali saranno illuminati di viola. Negli anni i tempi per diagnosticare la malattia sono leggermente aumentati, passando da una media di 1,8 anni nel 2015 a 2 anni nel 2023.
Grandi sfide per la salute pubblica
In Italia circa un milione e 480mila persone soffrono di demenze. Di queste il 50–60% sono affette da Alzheimer, pari a circa 600mila anziani. Una cura definitiva per questa malattia non esiste ancora, ma ci sono farmaci che possono rallentare il declino cognitivo e migliorare la qualità della vita dei pazienti. Dopo anni di insuccessi, oggi si registra un progresso grazie agli anticorpi monoclonali. Questi farmaci, somministrati nelle fasi iniziali della malattia, possono rallentare significativamente il decorso. Donanemab, un anticorpo diretto contro una porzione delle placche amiloidi, è stato approvato quest’anno dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Usa, e ha dimostrato di rallentare in modo modesto il declino cognitivo nelle prime fasi della malattia. Questo farmaco si affianca a Lecanemab, un altro anticorpo monoclonale approvato in precedenza. Entrambi attaccano la proteina beta-amiloide, implicata nello sviluppo dell’Alzheimer, e possono rallentare il declino cognitivo per diversi mesi.
Il primo viene somministrato una volta al mese, mentre il secondo ogni due settimane. Tuttavia, possono causare gravi effetti collaterali, in particolare l’insorgenza della condizione nota come ARIA (Amyloid-Related Imaging Abnormalities), che comporta gonfiore o microemorragie in alcune aree del cervello. Al momento, nessuno dei due farmaci è stato approvato dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema).
Assistenza carente
Per quel che riguarda l’assistenza pubblica, appena il 36,2% del campione coinvolto in un’indagine la giudica positiva. Il 29,8% segnala un peggioramento della qualità dei servizi dopo la pandemia. Restano inoltre forti differenze territoriali: al Nord è preso in carico da un centro per i disturbi cognitivi e le demenze il 48,2% dei pazienti rispetto a circa un terzo di quelli che vivono al Centro e al Sud. Nel tempo, inoltre, non si notano cambiamenti nei modelli di assistenza che di fatto sono basati su un’ampia delega alle famiglie, su cui la malattia ha un profondo impatto: basti pensare in oltre la metà dei casi sono segnalate tensioni tra i familiari.