Washington, 7 Novembre – La lunga attesa è finita. L’America ha un nuovo presidente, Joe Biden, che torna alla Casa Bianca dove per otto anni è stato il braccio destro di Barack Obama. E al suo fianco per la prima volta ci sarà una vicepresidente donna, Kamala Harris, figlia del sogno americano, con origini afro e Tamil. Un ticket formidabile quello tra Joe e Kamala, il più votato nella storia. Anche se ci sono voluti quattro interminabili giorni per avere un verdetto. Alla fine dalle urne è arrivata una svolta destinata a incidere sul futuro di un Paese e delle relazioni sul piano internazionale.
Trump si sente ancora presidente
Per Donald Trump si materializza invece l’incubo peggiore: passare alla storia come presidente da un solo mandato, travolto da una pandemia le cui conseguenze sono state sottovalutate, ma anche da un modo tutto personale di interpretare il ruolo di Commander in chief al di fuori di tutti gli schemi. Anche se lui non ci sta, non concede la vittoria all’avversario e promette una guerra senza tregua sul terreno legale: «Le elezioni sono state rubate, ai seggi sono successe cose orribili. Se si contano i voti legali, sono io il legittimo presidente».
La gioia nelle strade
Esplode invece la gioia di quella parte del Paese che dopo quattro anni di trumpismo sognava di uscire da quello che viene considerato un incubo. E da New York a Los Angeles, in tutte le metropoli Usa è festa. “You are fired!“, canta la folla radunata davanti alla Casa Bianca, scaricando in quell’urlo collettivo le tensioni di una delle stagioni elettorali più divisive della storia americana, fatta anche di proteste e disordini, con un Paese che resta profondamente spaccato in due.
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Le parole di Biden
Non a caso le prime parole di Biden subito dopo l’annuncio della vittoria contengono un chiaro messaggio di riconciliazione politica e sociale. «Unirò l’America», la sua promessa. Per il nuovo presidente «è il tempo di dire basta alla rabbia e alla demonizzazione nella politica. La grande maggioranza degli americani che hanno votato» – l’appello lanciato dalla sua Wilmington, in Delaware – «vuole che i veleni restino fuori dalla politica e che il Paese si unisca per guarire tutti insieme le sue ferite». Un manifesto, quello di Biden, per porre fine a quattro anni di America First, in cui la più grande democrazia al mondo si è chiusa in un nazionalismo esasperato che ha finito per isolarla dalla comunità internazionale.
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— Eurocomunicazione (@Euro_comunica) November 7, 2020
La conferma decisiva in Pennsylvania
Non è stata comunque una vittoria facile per Biden, ma sofferta. A decretarla alla fine è stata la conquista della Pennsylvania, lo Stato che gli ha regalato un bottino finale di 20 grandi elettori che gli ha permesso di superare la fatidica soglia dei 270 voti elettorali necessari per vincere la presidenza. Ma il successo dell’ex vicepresidente è stato tutto costruito sulla lezione imparata dal recente passato, cercando di evitare gli errori della campagna di Hillary Clinton. Così Biden è stato in grado di riconquistare ciò che Trump era riuscito a strappare ai democratici quattro anni fa: non solo la Pennsylvania ma anche i grandi Stati industriali del Midwest, dal Wisconsin al Michigan, quelli della Rust Belt in cui gli operai e le grandi città hanno voltato le spalle al tycoon.
Calendario
Il nuovo presidente, che sarà eletto formalmente dal Collegio dei Grandi Elettori il 14 dicembre e che giurerà il prossimo 20 gennaio insediandosi alla Casa Bianca, intende mettersi subito al lavoro. Non c’è tempo da perdere, vuole essere subito operativo a partire dalla fase di transizione, perché di fronte alla crisi sanitaria ed economica in corso l’America non può aspettare. Anche se la transizione non sarà facile: Trump non si è mai impegnato finora per un passaggio dei poteri pacifico. E, a partire dalla minaccia dl ricorso alla Corte Suprema, c’è da giurare che farà di tutto per resistere ancora.
Per l’approfondimento vedi eurocomunicazione.com l’articolo su “Quale America esce dal referendum su Donald Trump“